Le cose che nessuno ti ha mai detto sul dolore cronico
Umberto Mantovan
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Ti sei mai chiesto perché quel dolore alla schiena, al ginocchio o al collo non se ne va, nonostante le cure che hai fatto?
“Serve solo un po’ di pazienza, poi tornerà tutto come prima”.
Ma i giorni si sono trasformati in settimane, le settimane in mesi… e quel dolore continua a farsi sentire.
Non è semplice da comprendere, né da spiegare.
Siamo abituati a pensare al dolore come a un campanello d’allarme: un segnale che qualcosa si è danneggiato.
Eppure, nel dolore cronico, quel campanello rimane acceso anche quando il pericolo è ormai passato.
In questo articolo esplorerò le convinzioni più diffuse sul dolore persistente e proverò a chiarire alcuni dubbi.
Se arriverai fino in fondo, troverai anche un consiglio pratico per affrontarlo al meglio.
Dolore cronico: un fenomeno che tocca milioni di persone
Il dolore cronico non è un problema di pochi.
In Italia riguarda circa una persona su quattro.
L’impatto sulla vita quotidiana è enorme:
oltre la metà delle persone con dolore cronico riferisce difficoltà a svolgere attività fisica e semplici faccende domestiche,
quasi una su due fatica a camminare o a dormire bene,
molti vivono limitazioni lavorative e riduzione della vita sociale.
Il dolore persistente riduce la produttività sul lavoro, aumenta l’assenteismo e porta spesso a ricorrere a visite, farmaci e trattamenti continui.
Per questo, voglio condividere alcuni delle convinzioni più comuni che ritrovo nei miei pazienti ogni giorno.
Idee diffuse, ma spesso fuorvianti, che influenzano il modo in cui si affronta il dolore cronico.
Pronti? Iniziamo!
1. “Se ho ancora dolore, significa sicuramente che ho un danno”
Quando il dolore non passa, è naturale cercarne la causa a tutti i costi prima di tornare alle proprie attività.
In realtà, una delle possibili spiegazioni del perché senti ancora dolore non è un danno, bensì una sensibilizzazione del sistema nervoso centrale.
Mi spiego meglio.
Pensa al dolore come un’immagine riflessa in uno specchio.
Il dolore che senti è il segnale inviato dal sistema nervoso, cioè l’immagine riflessa dallo specchio.
A volte il sistema nervoso si “sensibilizza” e diventa come uno specchio deformante che ingrandisce e distorce l’immagine.
Questa distorsione dello specchio può essere esacerbato anche da pensieri legati a eventi passati o credenze comuni.
In questo modo, il dolore può diventare molto più diffuso e intenso o addirittura scatenarsi con movimenti che non dovrebbero dare alcun disturbo.
2. “Se sento male, devo fermarmi per forza”
Quando senti dolore durante un movimento, la cosa più istintiva da fare è fermarsi ed evitarlo.
Ma quando il dolore dura settimane o mesi, continuare a fermarsi può peggiorare la situazione:
I muscoli perdono forza e resistenza.
Le articolazioni diventano più rigide.
Il cervello impara a collegare movimento e dolore, anche quando il corpo non è più in pericolo.
Questa convinzione del “se mi muovo peggioro il danno”, alimenta la trappola della kinesiophobia.
La kinesiophobia è la paura di muoversi perché si teme che il movimento possa peggiorare il danno.
Non è “pigrizia”: è una paura radicata, spesso inconscia.
Chi ne soffre tende a evitare attività quotidiane, anche semplici (salire le scale, piegarsi, camminare a lungo).
Questo porta a un circolo vizioso: meno movimento → più rigidità e debolezza → più dolore → più paura.
Questo meccanismo (Il Fear Avoidance Model) è un modello psicologico che descrive due strade possibili dopo un episodio doloroso:
Recupero:
La persona interpreta il dolore come normale e temporaneo.
Continua a muoversi (magari adattando le attività).
Il dolore gradualmente si riduce.
Evitamento:
La persona interpreta il dolore come segno di danno grave.
Nasce la paura → si evita il movimento (avoidance).
L’inattività porta a perdita di forza, condizionamento negativo e maggiore sensibilità al dolore.
In altre parole: non è solo il dolore a limitarti, ma il significato che gli dai.
3. “Non guarirò mai”
Quando il dolore dura da molto tempo è comune pensare:
“Ormai resterò così per sempre”.
Il pensiero catastrofico (“non guarirò mai”) amplifica il dolore stesso:
il cervello interpreta ogni segnale come una minaccia.
Non è semplice preoccupazione, ma una modalità di pensiero che porta a ingigantire la gravità del dolore, a prevedere scenari catastrofici e a sentirsi impotenti di fronte a ciò che si prova.
Di solito si manifesta in tre modi principali:
Ruminazione → “Penso sempre al dolore, non riesco a distrarmi.”
Ingrandimento → “Se mi fa male così oggi, domani non riuscirò più a camminare.”
Senso di impotenza → “Non c’è niente che io possa fare, andrà solo peggio.”
È come se la mente prendesse un sassolino e lo trasformasse in una montagna insormontabile.
4. “Il mio corpo è fragile”
Quante volte ho sentito dire:
“Ho la schiena consumata”,
“Ho la spalla rovinata”,
“Ho il ginocchio fragile”.
Queste frasi fanno sembrare il corpo come una macchina vecchia pronta a rompersi.
Le radiografie o le risonanze possono mostrare “degenerazione” ,“artrosi” o "ernie";
ma queste immagini non raccontano la tua capacità di muoverti, fare sport e vivere la tua vita al meglio.
Ci sono persone con articolazioni piene di “segni” che non hanno dolore, e altre con esami quasi perfetti che soffrono molto.
5. “Devo trovare la terapia giusta che elimini il dolore”
È normale cercare la “cura magica” che faccia sparire il dolore.
Ma questa ricerca infinita rischia di diventare frustrante:
ogni trattamento che non funziona conferma l’idea di essere “inguaribili”.
Per il dolore persistente purtroppo non esiste la soluzione rapida.
La vera soluzione è spesso un percorso attivo, fatto di movimento graduale, strategie di gestione e cambiamenti dello stile di vita.
Non serve aspettare la terapia perfetta: il recupero nasce da piccoli passi, costanti e costruiti su misura.
Immagina di avere una perdita d’acqua in casa.
Metti un secchio sotto il rubinetto e per qualche ora non hai più il pavimento bagnato.
Funziona? Sì.
Ha risolto il problema?
No, perché il tubo continua a perdere.
Cercare interventi che diano un sollievo immediato non è efficace a lungo termine e puntano solo al “risultato lampo”:
il massaggio “magico” che fa sparire il dolore in una seduta,
la manipolazione che “sblocca tutto”,
il macchinario che promette sollievo immediato.
Sia chiaro, non c’è nulla di male a cercare un beneficio rapido.
Ma quando diventa l’unica aspettativa, rischia di essere una trappola.
Quando ci si affida a questo metodo di lavoro il paziente torna dal fisioterapista ogni volta che il dolore ricompare, senza sviluppare strumenti di autogestione.
Il risultato?
Frustrazione (“Perché non guarisce mai?”);
Spese continue;
Senso di impotenza (“Solo qualcun altro può sistemarmi”).
6. “Mi è stato detto che è tutto nella mia testa”
Quante volte te lo sei sentito dire?
Se non si trova un danno evidente, spesso qualcuno conclude che il dolore “te lo inventi” o che “è solo psicologico”.
Il cervello elabora segnali concreti e li trasforma in un’esperienza reale.
Dire che “è tutto nella tua testa” è riduttivo e rischia di farti sentire incompreso, o peggio, colpevole del tuo dolore.
In realtà, il cervello non inventa nulla: svolge il suo lavoro, cioè proteggerti.
Sapere che sono risposte normali è importante perché ti permette di cambiare prospettiva.
7. “Non posso sollevare pesi se no peggioro il problema”
È una paura molto comune: pensare che ogni sforzo, ogni movimento “più pesante”, possa danneggiare ancora di più la parte che fa male.
Così si finisce per evitare le attività quotidiane, rinunciare allo sport o affidarsi al riposo.
Ma la verità è che l’attività fisica — che sia sport, esercizio mirato o semplicemente muoversi un po’ di più — può
ridurre la sensibilità del sistema nervoso;
migliorare la forza;
restituirti fiducia nel tuo corpo.
Con gradualità, ascolto e progressione, muoversi diventa la medicina più efficace per uscire dal circolo vizioso del dolore cronico.
Sollevare un peso non è pericoloso: ogni volta che lo fai insegni al tuo corpo che può fidarsi di nuovo di sé stesso.
Se sei tra i pochi arrivato fino a qui, ora sai che:
il dolore cronico è il risultato di un meccanismo molto complesso che riguarda il corpo, il sistema nervoso, le emozioni e le esperienze di vita.
Ok, ma allora come faccio ad uscire da questa situazione?
Il ruolo del fisioterapista
In casi come questo, un consiglio pratico è rivolgersi al proprio fisioterapista di fiducia.
E qui starai pensando, “grazie al c….”.
Ma in una condizione di dolore persistente, aspettare troppo o cercare soluzioni lampo non è mai una buona soluzione.
Apporteresti cambiamenti così profondi al tuo stile di vita senza accorgertene che sarebbe quasi impossibile tornare indietro.
Affrontarlo da soli o con qualche esercizio trovato su internet, non fa altro che gettare benzina sul fuoco.
Quindi sì, vai dal tuo fisioterapista il prima possibile e qui di seguito ti darò dei consigli pratici sul come sceglierlo se non ne hai uno.
Diffida da chi ti promette guarigioni rapide o il classico “in poche sedute ti sistemo”.
Oppure da che ti promette che con la terapia strumentale X o Y ha ottenuto risultati incredibili.
Non funziona così.
Cerca invece di avere un dialogo aperto: racconta cosa ti è stato detto da altri professionisti, quali convinzioni ti sei fatto/a parlando con amici o conoscenti, cosa hai smesso di fare per non sentire più dolore.
Il fisioterapista non è solo qualcuno che “aggiusta” o che fa sparire il sintomo.
È un professionista che ti aiuta a ricostruire il puzzle della tua problematica:
ascolta la tua storia,
affronta con te paure e convinzioni,
costruisce un percorso personalizzato che ti permetta di tornare gradualmente alle tue attività, passo dopo passo.
Non lasciare che il dolore ti condizioni: riprendi il controllo, vivi la tua vita e falla tua, ogni giorno.
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