Ciao, mi presento...

Mi chiamo Umberto Mantovan e sono nato a Broni, nel cuore dell’Oltrepò Pavese — un luogo dove la vita scorre lenta, tra colline, volti familiari e storie che si intrecciano da generazioni.

Mi sono laureato in Fisioterapia all’Università di Pavia, nel pieno della pandemia.
Un periodo sospeso, incerto, ma anche profondamente formativo: mi ha insegnato ad adattarmi, a leggere i cambiamenti della sanità e a costruire, giorno dopo giorno, il coraggio di trovare la mia strada.

Dopo la laurea mi sono trasferito a Sanremo, dove ho aperto la temutissima Partita IVA.
È stato il mio primo vero salto nel vuoto: nuove sfide, responsabilità, e quella sensazione — bella e un po’ spaventosa — di iniziare davvero a costruire qualcosa di mio.

Un anno dopo, il richiamo della nostalgia di casa è stato più forte dei climi temperati della Liguria.
Sono tornato in Oltrepò e ho iniziato a lavorare in uno studio convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale a Casteggio (PV), affiancando gli studenti di Fisioterapia dell’Università di Pavia durante il tirocinio.
Guidarli mi ha insegnato che dietro ogni domanda c’è sempre un’occasione per mettere in discussione le proprie certezze.

L’esperienza nel sistema pubblico mi ha mostrato anche l’altra faccia della medaglia: protocolli standardizzati, poca personalizzazione, e percorsi di cura spesso rallentati da vincoli gestionali.

Così, nel 2025, ho deciso di aprire il mio studio fisioterapico a Broni, il paese dove sono cresciuto.
Un luogo che rappresenta per me più di uno spazio di lavoro: è il punto in cui la mia idea di fisioterapia ha finalmente preso forma.
Una fisioterapia trasparente, basata sulle evidenze scientifiche, ma anche attenta agli aspetti comunicativi e cognitivi del dolore.

La mia formazione post-laurea si è concentrata sulla fisioterapia ambulatoriale e sportiva, ma con il tempo ho capito una cosa:
non basta lavorare soltanto sul corpo.

Mi sono avvicinato con curiosità e rispetto alla parte più profonda del nostro lavoro: quella psicologica, relazionale e comunicativa.
Ed è lì, in quella zona d’ombra dove corpo e mente si incontrano, che oggi sento di giocarmi la sfida più grande — e più bella — del mio percorso.